Lento solenne e taciturno il fiume si avviava verso il mare senza aver
prima richiamato l’attenzione di qualche spirito pensante col gorgoglio delle
piccole cascate che creavano una sinfonia di suoni e colori. Ancor prima di
inoltrarsi nella parte pianeggiante, affrontava il dislivello nel salto
alquanto impegnativo dell’ultima balza, per lambire un vecchio casolare che il
signor Turner, venuto dalla Svizzera, aveva rilevato per impiantarvi un
cotonificio. Secondo le previsioni degli economisti, l’attività avrebbe
consentito lauti guadagni.
Ottone, ultimo rampollo della famiglia Turner, educato alla scuola di
un pragmatico razionalismo aveva come unica finalità un risultato
utilitaristico e, sfidando le numerose dicerie popolari che avevano visto nello
stabile disabitato un luogo di streghe e apparizioni demoniache, ristrutturò lo
stabile in modo razionale utilizzando al pianterreno il canapificio e al piano
superiore la propria abitazione.
***
Dopo un breve lasso di tempo, non si conoscono i motivi, Ottone
all’improvviso scomparve senza lasciare notizie.
Per un lungo periodo lo stabile rimase disabitato fino al giorno in
cui, Pietro, uno dei pochi possessori di un vecchio e malandato camion, non
ebbe l’incarico di rilevare il signor Aaron Essenbach che occupò la proprietà
Turner e ivi creò una prestigiosa attività: Orologi per torri campanarie.
Dopo aver espletato l’iter burocratico previsto dalle leggi, il signor
Aaron convogliò una parte del corso del fiume e, utilizzando il dislivello
della cascata, creò, attraverso un complesso meccanismo, una fonte di energia
che sarebbe stata utilizzata per il suo lavoro.
***
Nessuno in paese conosceva il signor Aaron e, quando fu pronta l’unità
abitativa, il principale vi si trasferì definitivamente.
In paese, dopo l’improvvisa scomparsa dei Turner, la fantasia popolare
fece rivivere la presenza di occulte presenze e si domandavano: “Ma il nuovo
arrivato non ha paura dei fantasmi?”
E qualcuno rispondeva: “Non può aver paura, perché, mi hanno riferito,
che è un mago e i maghi sono amici dei demoni…”
Il popolo si poneva domande ed elaborava risposte fino a quando,
stanco dell’argomento, pensò ad altro. E così scomparvero le streghe e nessun
altro parlò di visioni demoniache. L’unico argomento che impressionava la gente
del contado era la grande figura del nuovo venuto che aveva un aspetto che
incuteva soggezione e si pensava che avesse prerogative soprannaturali, non tanto
per gli spettri, bensì per la grandezza e la precisione ineccepibile dell’arte
di scandire le ore.
E come tale fu presto conosciuto perché, pur senza essere di fede
cattolica, fece dono al campanile della chiesa di S. Ilario del suo primo
lavoro creato in quel luogo. Ciò gli valse il passaggio, nell’immaginario
collettivo, dallo stadio di fabbro a quello di mago delle grandi opere. Divenne
celebre in tutta la valle per cui per indicarlo come eccellente artigiano, gli
fu attribuito il nomignolo “il principale”. Nessuno sapeva con esattezza chi
veramente fosse questo signor Aaron e come all’improvviso abbia scelto quel
luogo e determinato la sua attività, perché subito le leggende paesane gli furono
attribuite come l’incarnazione di un redivivo apparso improvvisamente.
***
Aveva il signor Aaron una bellissima moglie, alta, slanciata, giovane
e armonica in tutte le sue movenze; la voce era melodiosa e dall’accento si
capiva subito che veniva da molto lontano. La felicità familiare era costituita
dalla grande affermazione per i consensi dell’arte del marito e dalla dolcezza
che un amore serio ed onesto potesse dare: la visione incantata di una figlia
che sembrava l’incarnazione di un angelo disceso dal cielo.
***
L’integrazione dei nuovi arrivati avvenne in modo graduale e con molta
morbidezza; il principale, apparentemente poco socievole, spesso si fermava a
discorrere con tutti e non disdegnava intrattenersi con chicchessia; quando
Ursula gli rimproverava di essersi fermato alquanto con uno dei tanti bifolchi
del paese, il principale tra i denti ripeteva: “anche dai rozzi si apprende
qualcosa".
La signora sempre gentile, in poco tempo diventò l’idolo delle sartine
e delle comari del villaggio; e tra le comari in senso lato del termine, una
divenne davvero la madrina, perché la ragazza integrata nel gruppo dei giovani,
dopo la Comunione doveva accedere al sacramento della Cresima per cui dovette
scegliere la madrina.
***
La signora Raffaella gestiva un emporio e, conosciuta e stimata da
tutti, fu contenta di essere stata invitata ad essere la madrina di Gertrud, la
quale colmò un grande vuoto: Raffaella aveva sempre desiderato di avere una
figlia, dal momento che dal suo matrimonio era nato solo un figlio maschio.
La presenza di Gertrud fu l’additivo opportuno per completare il
quadretto familiare ed il correttivo giusto nella casa di Raffaella che
spasmodicamente viveva ore di angoscia in attesa del ritorno del marito che
ancora non era ritornato dalla guerra.
Gertrud fu accolta tanto bene e nelle ore di lavoro del papà,
trascorreva l’intera giornata nell’emporio e da Raffaella apprendeva, oltre
alle buone maniere, l’arte di ricamare e cucire.
Il principale era felice nel suo laboratorio, certo che la giovane
fosse in buone mani, anche perché, felice di godere della compagnia del figlio
di Raffaella, accarezzava il recondito desiderio che il giovane Federico
potesse un giorno convolare a nozze con Gertrud.
***
Il giovane, nelle ore libere, attratto dalla perfezione dell’arte
dell’illustre maestro, amava trattenersi nell’officina del principale da cui
riceveva non solo suggerimenti tecnici, ma anche nozioni scientifiche e
filosofiche.
L’insigne artista, poteva sfoggiare la sua saggezza perché, oltre
all’apprendimento tecnico, aveva studiato a Friburgo ed era stato allievo ed
amico di Usserl.
In lui coesistevano la tecnica, la matematica, la filosofia e l’arte.
***
Il giovane, oltre alla curiosità intellettuale e lo stimolante
discorso del saggio maestro, notava che qualcosa di familiare rendeva sempre
più piacevole quella compagnia che lo estraniava dalle banalità della vita
ordinaria e lo immergeva in quel mondo sconosciuto dell’essere e dell’esistere.
E così dal movimento del bilanciere dell’orologio risalirono ai
principi di Carnot e si distrassero alquanto nel momento in cui indugiarono a
parlare dell’eternità della materia. E ciò che rendeva accattivante ogni
argomento era l’intreccio tra realtà e mito, vita vissuta e ipotesi
immaginarie. Tra i due si stabilì una misteriosa simpatia che in ambedue aveva
un comune denominatore: “La gioia del vivere accanto a chi immerso nel tempo,
sente la suggestione del mistero dell’eternità” e, Federico cercava di
associare la figura del maestro a qualche persona di sua conoscenza, mentre il
principale, ossessivamente pensava: “Questo giovane mi richiama alla mente
qualcuno di mia conoscenza, ma non saprei chi…, ma… chi? come se lo conoscessi
da tempo!”
***
Ogni giorno, da un manufatto metallico, con voce suadente e proprietà
di linguaggio, il processo logico li conduceva all’eternità della materia, alla
creazione e al Caos primordiale: gli esempi addotti erano a volte scientifici,
e talora di pura fantasia. Alla base di ogni ragionamento affiorava il disagio
dell’uomo come il grande prigioniero dello spazio e del tempo.
- Eh! Ragazzo mio, una volta l’uomo era eterno e condivideva con tutti
la gioia del viver ma…
- Ma poi?...
- Una forte esplosione divise in due la retta e noi siamo su una delle
due semirette
- E allora qual è il problema?
- Il grande problema sta nel fatto che l’esplosione ci ha ricacciati
ad un livello inferiore e noi, prigionieri del tempo, viviamo nell’angoscia col
desiderio del grande ritorno. Attraverso la magia di un forbito eloquio, il
principale sciorinava un vastissimo repertorio che dalla mitologia classica
alle fiabe di Andersen accompagnava Federico in un viaggio di emozioni e di
poesia. La mente e il cuore erano coinvolti in un susseguirsi di pace e
piacere!
Dal bilanciere dell’orologio il discorso dominante partendo dal
dinamismo di un calibrato incastro si elevava fino a raggiungere la soglia
dell’eternità.
Amico mio, siamo prigionieri!
- Ho capito, l’essere umano è prigioniero dello spazio e del tempo,
ma…
- Sei ancora molto giovane, non ancora senti il peso dell’angoscia
esistenziale; per spiegarmi meglio ti faccio osservare: osserva il bilanciere
dell’’orologio, son tre pezzi metallici tenuti uniti da viti; si tratta di
osservazioni molto semplici: le viti bloccano i diversi pezzi dell’incastro e
il tutto è circoscritto in una unità che noi chiamo incastro, e… cosi è la vita:
un incastro che osserviamo nella fase passiva e nella fase attiva, cioè il
soggetto che incastra o viene incastrato. A questo punto capisco il tuo disagio
anche perché le implicanze postulano ulteriori argomenti di utile discussione:
chi regola l’incastro, il caso, una legge fisica ancora sconosciuta, o come
dicevano gli antichi, il fato?
***
L’orologio di Parigi
Il marchio degli orologi del Signor Essenbach era conosciuto ovunque e
gli ordini piovevano da ogni dove e, oltretutto il momento favorevole aumentava
le richieste perché i danni prodotti dalla guerra registravano un notevole bisogno
di ristrutturare torri campanarie e palazzi storici.
Un bel giorno quattro illustri signori vennero a commissionare un
orologio da installarsi sulla facciata del municipio di una cittadina alla
periferia di Parigi. Uno dei quattro era italiano ed era un procacciatore di
affari. Il principale, dopo le presentazioni, fu in grado di trattare da solo i
tempi e le modalità dell’affare, perché conosceva bene la lingua francese. Il
mediatore, dispensato dal ruolo di interprete, negli intervalli, si concesse
qualche piacevole distrazione:
Lei è una donna straordinariamente bella, non si annoia a vivere da esule
in un piccolo paese? Se, ne avrà l’occasione di venire a Roma mi venga a
trovare. Queste furono le ultime parole, apparentemente galanti.
In effetti erano il corollario di cose dette nell’intimità e non è
dato di conoscere se non dai risvolti di ciò è avvenuto in seguito.