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Teruccio era in meditazione pensando alla triste condizione dell'essere umano che lotta per la sopravvivenza alla ricerca del piacere con l'illusione di una rosea speranza che possa allietare il futuro. Pertanto, le discriminazioni sociali, la disuguaglianza di classe, nonostante gli avveniristici banditori dell'egualitarismo di una volta, ora difensori di privilegi di casta, causano tristi considerazioni sulla effettiva gestione di se stessi, delle proprie sostanze e del modo di vivere che, almeno in chi è più colto, dovrebbe essere la guida per assicurare a tutti benessere e prosperità.
Le reminiscenze letterarie non sono solo un vago ricordo scolastico: La ballata di Francois Villon si ripete ancora, e questa volta, gli impiccati del momento sono i poveri, gli abbandonati, i malcapitati, i discriminati, gli esclusi.
Chi li ha relegati in questa triste condizione? L'egoismo dei fratelli, la prepotenza del potere, l'arroganza del più forte, il cinismo di chi ha abdicato al senso della giustizia e alla dignità della propria onorabilità. Che importa se il mio vicino di casa non ha niente da mettere in tavola? La cosa importante è che io stia bene che non mi manchi il primo piatto, un pezzo di carne, la frutta, il dolce e magari… Il gelato. (... per non citare il resto!!!).
Fino a quando abuserete della nostra pazienza?
Il nodo scorsoio è già quasi pronto per coloro che ci si augura siano oggetto della misericordia di Dio.

Parafrasi della ballata degli impiccati


Fratelli onorevoli, che a noi mostraste le terga, e, quando ci vedeste pendere dall’albero, non ci avete considerato, non piangete, perché abbiamo pietà di voi. 
Anche Voi, darete il macabro spettacolo con carne putrida, ossa stecchite e cinerea polvere; ma, noi preghiamo Dio che vi voglia assolvere!

***
Fratelli onorevoli, non vi offendete se vi chiamiamo fratelli, perché forgiati di uguale fattura. Anche se diverso fu il comune cammino, pensate alla gioia della nostra bontà, perché abbiamo pietà di voi. Anche Voi penderete da quell’albero che il Cristo tradì; ma, noi preghiamo Dio che vi voglia assolvere!

***
Fratelli onorevoli, non vi dolete se la pioggia sbiancherà i vostri corpi anneriti e neppure i rapaci beccheranno gli ultimi resti; mai un istante la nostra memoria ha cancellato il vostro casato; ora il vento è mutato: se prima era rancore, ora è pietà. Perché possiate unirvi alla nostra brigata, noi preghiamo Dio che vi voglia assolvere!

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Signore, che su tutti noi sei giusto e potente sovrano, ci hai ridato ciò che i fratelli ci han tolto, non affidarli alla trista memoria, né li affligga l’ombra di un tragico scherno: pentitevi e noi preghiamo Dio che vi voglia assolvere!



Lento solenne e taciturno il fiume si avviava verso il mare senza aver prima richiamato l’attenzione di qualche spirito pensante col gorgoglio delle piccole cascate che creavano una sinfonia di suoni e colori. Ancor prima di inoltrarsi nella parte pianeggiante, affrontava il dislivello nel salto alquanto impegnativo dell’ultima balza, per lambire un vecchio casolare che il signor Turner, venuto dalla Svizzera, aveva rilevato per impiantarvi un cotonificio. Secondo le previsioni degli economisti, l’attività avrebbe consentito lauti guadagni.
Ottone, ultimo rampollo della famiglia Turner, educato alla scuola di un pragmatico razionalismo aveva come unica finalità un risultato utilitaristico e, sfidando le numerose dicerie popolari che avevano visto nello stabile disabitato un luogo di streghe e apparizioni demoniache, ristrutturò lo stabile in modo razionale utilizzando al pianterreno il canapificio e al piano superiore la propria abitazione.
***
Dopo un breve lasso di tempo, non si conoscono i motivi, Ottone all’improvviso scomparve senza lasciare notizie.
Per un lungo periodo lo stabile rimase disabitato fino al giorno in cui, Pietro, uno dei pochi possessori di un vecchio e malandato camion, non ebbe l’incarico di rilevare il signor Aaron Essenbach che occupò la proprietà Turner e ivi creò una prestigiosa attività: Orologi per torri campanarie.
Dopo aver espletato l’iter burocratico previsto dalle leggi, il signor Aaron convogliò una parte del corso del fiume e, utilizzando il dislivello della cascata, creò, attraverso un complesso meccanismo, una fonte di energia che sarebbe stata utilizzata per il suo lavoro. 
***
Nessuno in paese conosceva il signor Aaron e, quando fu pronta l’unità abitativa, il principale vi si trasferì definitivamente.
In paese, dopo l’improvvisa scomparsa dei Turner, la fantasia popolare fece rivivere la presenza di occulte presenze e si domandavano: “Ma il nuovo arrivato non ha paura dei fantasmi?”
E qualcuno rispondeva: “Non può aver paura, perché, mi hanno riferito, che è un mago e i maghi sono amici dei demoni…”
Il popolo si poneva domande ed elaborava risposte fino a quando, stanco dell’argomento, pensò ad altro. E così scomparvero le streghe e nessun altro parlò di visioni demoniache. L’unico argomento che impressionava la gente del contado era la grande figura del nuovo venuto che aveva un aspetto che incuteva soggezione e si pensava che avesse prerogative soprannaturali, non tanto per gli spettri, bensì per la grandezza e la precisione ineccepibile dell’arte di scandire le ore.
E come tale fu presto conosciuto perché, pur senza essere di fede cattolica, fece dono al campanile della chiesa di S. Ilario del suo primo lavoro creato in quel luogo. Ciò gli valse il passaggio, nell’immaginario collettivo, dallo stadio di fabbro a quello di mago delle grandi opere. Divenne celebre in tutta la valle per cui per indicarlo come eccellente artigiano, gli fu attribuito il nomignolo “il principale”. Nessuno sapeva con esattezza chi veramente fosse questo signor Aaron e come all’improvviso abbia scelto quel luogo e determinato la sua attività, perché subito le leggende paesane gli furono attribuite come l’incarnazione di un redivivo apparso improvvisamente. 
*** 
Aveva il signor Aaron una bellissima moglie, alta, slanciata, giovane e armonica in tutte le sue movenze; la voce era melodiosa e dall’accento si capiva subito che veniva da molto lontano. La felicità familiare era costituita dalla grande affermazione per i consensi dell’arte del marito e dalla dolcezza che un amore serio ed onesto potesse dare: la visione incantata di una figlia che sembrava l’incarnazione di un angelo disceso dal cielo. 
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L’integrazione dei nuovi arrivati avvenne in modo graduale e con molta morbidezza; il principale, apparentemente poco socievole, spesso si fermava a discorrere con tutti e non disdegnava intrattenersi con chicchessia; quando Ursula gli rimproverava di essersi fermato alquanto con uno dei tanti bifolchi del paese, il principale tra i denti ripeteva: “anche dai rozzi si apprende qualcosa".
La signora sempre gentile, in poco tempo diventò l’idolo delle sartine e delle comari del villaggio; e tra le comari in senso lato del termine, una divenne davvero la madrina, perché la ragazza integrata nel gruppo dei giovani, dopo la Comunione doveva accedere al sacramento della Cresima per cui dovette scegliere la madrina. 
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La signora Raffaella gestiva un emporio e, conosciuta e stimata da tutti, fu contenta di essere stata invitata ad essere la madrina di Gertrud, la quale colmò un grande vuoto: Raffaella aveva sempre desiderato di avere una figlia, dal momento che dal suo matrimonio era nato solo un figlio maschio.
La presenza di Gertrud fu l’additivo opportuno per completare il quadretto familiare ed il correttivo giusto nella casa di Raffaella che spasmodicamente viveva ore di angoscia in attesa del ritorno del marito che ancora non era ritornato dalla guerra.
Gertrud fu accolta tanto bene e nelle ore di lavoro del papà, trascorreva l’intera giornata nell’emporio e da Raffaella apprendeva, oltre alle buone maniere, l’arte di ricamare e cucire.
Il principale era felice nel suo laboratorio, certo che la giovane fosse in buone mani, anche perché, felice di godere della compagnia del figlio di Raffaella, accarezzava il recondito desiderio che il giovane Federico potesse un giorno convolare a nozze con Gertrud. 
*** 
Il giovane, nelle ore libere, attratto dalla perfezione dell’arte dell’illustre maestro, amava trattenersi nell’officina del principale da cui riceveva non solo suggerimenti tecnici, ma anche nozioni scientifiche e filosofiche.
L’insigne artista, poteva sfoggiare la sua saggezza perché, oltre all’apprendimento tecnico, aveva studiato a Friburgo ed era stato allievo ed amico di Usserl.
In lui coesistevano la tecnica, la matematica, la filosofia e l’arte. 
***
Il giovane, oltre alla curiosità intellettuale e lo stimolante discorso del saggio maestro, notava che qualcosa di familiare rendeva sempre più piacevole quella compagnia che lo estraniava dalle banalità della vita ordinaria e lo immergeva in quel mondo sconosciuto dell’essere e dell’esistere. 
E così dal movimento del bilanciere dell’orologio risalirono ai principi di Carnot e si distrassero alquanto nel momento in cui indugiarono a parlare dell’eternità della materia. E ciò che rendeva accattivante ogni argomento era l’intreccio tra realtà e mito, vita vissuta e ipotesi immaginarie. Tra i due si stabilì una misteriosa simpatia che in ambedue aveva un comune denominatore: “La gioia del vivere accanto a chi immerso nel tempo, sente la suggestione del mistero dell’eternità” e, Federico cercava di associare la figura del maestro a qualche persona di sua conoscenza, mentre il principale, ossessivamente pensava: “Questo giovane mi richiama alla mente qualcuno di mia conoscenza, ma non saprei chi…, ma… chi? come se lo conoscessi da tempo!” 
*** 
Ogni giorno, da un manufatto metallico, con voce suadente e proprietà di linguaggio, il processo logico li conduceva all’eternità della materia, alla creazione e al Caos primordiale: gli esempi addotti erano a volte scientifici, e talora di pura fantasia. Alla base di ogni ragionamento affiorava il disagio dell’uomo come il grande prigioniero dello spazio e del tempo.
- Eh! Ragazzo mio, una volta l’uomo era eterno e condivideva con tutti la gioia del viver ma…
- Ma poi?...
- Una forte esplosione divise in due la retta e noi siamo su una delle due semirette
 - E allora qual è il problema?
- Il grande problema sta nel fatto che l’esplosione ci ha ricacciati ad un livello inferiore e noi, prigionieri del tempo, viviamo nell’angoscia col desiderio del grande ritorno. Attraverso la magia di un forbito eloquio, il principale sciorinava un vastissimo repertorio che dalla mitologia classica alle fiabe di Andersen accompagnava Federico in un viaggio di emozioni e di poesia. La mente e il cuore erano coinvolti in un susseguirsi di pace e piacere!
Dal bilanciere dell’orologio il discorso dominante partendo dal dinamismo di un calibrato incastro si elevava fino a raggiungere la soglia dell’eternità.
Amico mio, siamo prigionieri!
- Ho capito, l’essere umano è prigioniero dello spazio e del tempo, ma…
- Sei ancora molto giovane, non ancora senti il peso dell’angoscia esistenziale; per spiegarmi meglio ti faccio osservare: osserva il bilanciere dell’’orologio, son tre pezzi metallici tenuti uniti da viti; si tratta di osservazioni molto semplici: le viti bloccano i diversi pezzi dell’incastro e il tutto è circoscritto in una unità che noi chiamo incastro, e… cosi è la vita: un incastro che osserviamo nella fase passiva e nella fase attiva, cioè il soggetto che incastra o viene incastrato. A questo punto capisco il tuo disagio anche perché le implicanze postulano ulteriori argomenti di utile discussione: chi regola l’incastro, il caso, una legge fisica ancora sconosciuta, o come dicevano gli antichi, il fato?
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L’orologio di Parigi
Il marchio degli orologi del Signor Essenbach era conosciuto ovunque e gli ordini piovevano da ogni dove e, oltretutto il momento favorevole aumentava le richieste perché i danni prodotti dalla guerra registravano un notevole bisogno di ristrutturare torri campanarie e palazzi storici.
Un bel giorno quattro illustri signori vennero a commissionare un orologio da installarsi sulla facciata del municipio di una cittadina alla periferia di Parigi. Uno dei quattro era italiano ed era un procacciatore di affari. Il principale, dopo le presentazioni, fu in grado di trattare da solo i tempi e le modalità dell’affare, perché conosceva bene la lingua francese. Il mediatore, dispensato dal ruolo di interprete, negli intervalli, si concesse qualche piacevole distrazione:
Lei è una donna straordinariamente bella, non si annoia a vivere da esule in un piccolo paese? Se, ne avrà l’occasione di venire a Roma mi venga a trovare. Queste furono le ultime parole, apparentemente galanti.

In effetti erano il corollario di cose dette nell’intimità e non è dato di conoscere se non dai risvolti di ciò è avvenuto in seguito.